Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, già abolito dall’art. 18 L. 25/6/1999 n. 205, è stato reintrodotto nell’art. 341-bis c.p. – dopo 10 anni di assenza, ma con talune modifiche rispetto al testo del passato – dall’art. 1 c. 8 L. 15/7/2009 n. 94, recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.
Nel periodo d’interregno, stante l’abrogatio criminis, le offese nei riguardi del pubblico ufficiale avevano mantenuto il carattere di illecito penale, previo inquadramento nella preesistente figura di reato di cui all’art. 594 c.p., aggravato, a causa della speciale qualifica del destinatario, ai sensi dell’art. 61 n. 10 c.p. (l’aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale), punibile a querela e rientrante nella sfera di giurisdizione del giudice di pace penale.
Il legislatore mosso dal rinnovato intento di proteggere l’interesse, costituzionalmente rilevante, del buon andamento amministrativo, ritenne di tornare sui suoi passi, riproponendo il trattamento punitivo più severo per l’oltraggio, procedibile d’ufficio.
A livello di collocazione sistematica, lo stesso venne “premesso” all’art. 342 c.p. Fermo che resta da comprendere perché, invece di essere posizionato prima dell’articolo successivo, non sia stato inserito “dopo” il precedente, ci si deve domandare perché il delitto, non abbia potuto prendere il posto del suo avo, collocato all’art. 341 c.p., che è, e quindi resta, inutilmente vuoto.
Trattasi di reato comune, a forma libera, in quanto l’azione può realizzarsi con qualsiasi mezzo, e a soggetto passivo vincolato, che può essere commesso da chiunque; l’offensore, quindi, può essere anche un altro pubblico ufficiale e altresì un superiore gerarchico, al quale, sebbene sia riconosciuto un potere disciplinare nei confronti dell’inferiore, non è consentito ledere il prestigio del sottoposto, laddove l’offesa dipenda da cause inerenti l’ufficio o il servizio.
La fattispecie, oltre a richiedere il verificarsi dell’evento offensivo – congiunto, sia all’“onore” (con riferimento alle qualità morali della persona), che al “prestigio” (forma di decoro determinata dalla posizione del soggetto passivo e attinente alla dignità e al rispetto da cui la pubblica funzione deve essere circondata) – in luogo pubblico o aperto al pubblico, prevede, come ulteriore elemento costitutivo, la “presenza di più persone” (che abbiano la possibilità di udire le parole oltraggiose) che, un tempo, costituiva, invece, mera circostanza aggravante.
Il pubblico ufficiale, inoltre, deve trovarsi nell’atto di compiere un’opera d’ufficio e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni (c.d. nesso di causalità o temporalità tra l’offesa e la funzione esercitata). Di talché l’offesa deve essere concretamente idonea, oltre che ad attingere la personalità individuale dell’operatore, anche a incidere sul prestigio della P.A., in quanto determinata da motivi concernenti le mansioni pubbliche.
A differenza della precedente formulazione, invece, non è più previsto che l’offesa sia recata “in presenza” del pubblico ufficiale (nel senso materiale, di cui al primo comma, o ideale, di cui al secondo comma dell’art. 341 c.p., abrogato).
Al pari del passato, è prevista un’aggravante speciale, ma a efficacia comune, se l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato. Tuttavia, mediante la riproduzione di quanto stabilito in relazione alla diffamazione (unico delitto contro l’onore rimasto) dall’art. 596 c.p., è prevista la causa di esclusione della punibilità dell’exceptio veritatis, id est nella raggiunta prova della verità dell’addebito o nella condanna per tale fatto del pubblico ufficiale.
E’, infine, previsto che la realizzazione di quella condotta che normalmente integra l’attenuante comune di cui all’art. 62 n. 6 c.p. – attivo ravvedimento, mediante intera riparazione del danno prima del giudizio – risulti idonea a costituire una (inedita, quanto singolare) causa di estinzione del reato. Poiché come noto, il delitto di oltraggio è un reato plurioffensivo, che lede il prestigio tanto della pubblica amministrazione (offeso primario, mediato), quanto della persona fisica che la rappresenta (offeso secondario, immediato), il risarcimento del danno dovrà essere operato sia nei confronti del singolo pubblico ufficiale, che dell’ente di appartenenza.
Il quantum sanzionatorio ha previsto un massimo edittale che arriva fino a 3 anni di reclusione, mentre il minimo risulta individuato facendo riferimento al limite di 15 giorni, fissato in via generale dall’art. 23 c.p. per la pena della reclusione.
Sulla base di questo scenario – dopo i consueti ulteriori 10 anni – il D.L. 53/2019, c.d. decreto sicurezza-bis, convertito con modifiche dalla L. 77/2019, ha introdotto il minimo edittale pari a 6 mesi di reclusione e ha esteso tra le ipotesi di esclusione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale – unitamente a quelli di violenza e di resistenza (art. 336 e 337 c.p.) – quando sia commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, poi limitato dal D.L. 21/10/2020 n. 130 al solo “ufficiale o agente di pubblica sicurezza o ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni”.
A prescindere che tale limite di pena era già stato dichiarato incostituzionale in relazione alla previgente formulazione di cui all’art. 341 c. 1 c.p. (cfr. Corte Cost., 25/7/1994, n. 341), non resta che rilevare come la novella non risulta in grado di liberare quella rigida formulazione del delitto, subordinata alla sussistenza di ben 4 componenti:
- il contesto spaziale necessariamente pubblico;
- la presenza di almeno altre due persone oltre all’offeso;
- l’offesa congiunta sia all’onore che al prestigio;
- il nesso di causalità o temporalità tra l’offesa e la funzione esercitata;
- che rende l’oltraggio un delitto (a verificazione quasi) impossibile.
Avv. Fabio Piccioni
del Foro di Firenze
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