La nuova prescrizione del reato e la ragionevole durata dei giudizi di impugnazione
La L. 27/9/2021 n. 134, accanto al conferimento di una serie di deleghe al Governo per l’efficienza del processo penale, ha recato modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, immediatamente precettive.
Viene, infatti, introdotto nel codice penale il nuovo art. 161-bis, rubricato Cessazione del corso della prescrizione, che stabilisce la cessazione definitiva del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado; anche se, in caso di annullamento con regressione del procedimento al primo grado, o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento.
In sostanza, la prescrizione – un tempo riferibile ai tre gradi di giudizio – attiene ormai soltanto al primo grado.
La collocazione topografica dell’art. 161-bis si spiega in ragione del fatto che non si tratta di un’ipotesi di sospensione del corso della prescrizione, bensì di una vera e propria cessazione definitiva.
Conseguentemente, per motivi di coordinamento, vengono abrogati il secondo e il quarto comma dell’art. 159 c.p.
Infine, poiché il nuovo blocco della prescrizione di cui all’art. 161-bis risulta collegato alla sola sentenza di primo grado, e non anche al decreto penale di condanna, la riforma incide sull’art. 160 c.p., che disciplina l’interruzione del corso della prescrizione, inserendo tra gli atti interruttivi il decreto penale di condanna.
Tuttavia, per assicurare tempi certi e ragionevoli ai giudizi di impugnazione, viene introdotto nel codice di procedura penale il nuovo art. 344-bis, recante Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.
La disposizione, nel trasferire l’istituto dal codice di diritto sostanziale a quello di diritto processuale, intende evitare che l’imputato possa restare un eterno giudicabile.
La nuova disposizione prevede, rispettivamente ai commi 1 e 2, che la mancata definizione
– del giudizio di appello entro il termine di 2 anni,
– e del giudizio di cassazione entro il termine di 1 anno,
costituisca causa di improcedibilità dell’azione penale.
Si tratta di termini corrispondenti a quelli di ragionevole durata previsti dalla L. 24/3/2001 n. 89 (c.d. legge Pinto) per i relativi gradi di giudizio.
Conseguenza dell’improcedibilità, anche a fronte di un’eventuale condanna in primo grado, è la declaratoria di proscioglimento dell’imputato con formula di non doversi procedere.
Il comma 3 prevede che i termini di definizione del giudizio decorrano dal 90° giorno successivo alla scadenza del termine stabilito per il deposito della motivazione della sentenza dall’art. 544.
La decorrenza dei termini di durata dei giudizi di impugnazione viene così fissata tra un minimo di 90 giorni dopo la pronuncia della sentenza – in caso di motivazione contestuale – a un massimo di 270 giorni – in caso di termine massimo per il deposito, che sia stato anche prorogato nella misura massima ai sensi dell’art. 154 c. 4-bis disp. att. c.p.p.
Tuttavia, il comma 4 delinea un sistema che consente un diverso regime di improcedibilità e di durata massima del giudizio.
Infatti, laddove il giudizio di impugnazione risulti particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, è consentita una proroga dei termini, con ordinanza motivata, dal giudice che procede, fino a 1 anno per i giudizi d’appello e fino a 6 mesi per i giudizi in cassazione; la durata massima del giudizio in appello diventa, quindi, di 3 anni e, quella del giudizio in Cassazione, di 1 anni e 6 mesi.
Ulteriori proroghe, della medesima durata e per le medesime ragioni, sono consentite, senza limite temporale massimo, soltanto laddove si proceda per:
– delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, puniti con la reclusione non inferiore nel limite edittale minimo a 5 anni o in quello massimo a 10 anni;
– delitto di associazione sovversiva aggravata;
– delitto di partecipazione a banda armata;
– delitti di associazione mafiosa e di scambio elettorale politico-mafioso;
– delitti di violenza sessuale aggravata, di atti sessuali con minorenne e di violenza sessuale di gruppo;
– delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Un regime differente è previsto per i delitti aggravati dal metodo mafioso e dall’agevolazione mafiosa, per i quali è stabilito un limite alla proroga che non può superare complessivamente i 3 anni nel giudizio di appello e 1 anno e 6 mesi nel giudizio di legittimità; la durata massima del giudizio in appello diventa, quindi, di 5 anni e, quella del giudizio in Cassazione, di 2 anni e 6 mesi.
Ai sensi del comma 7 l’imputato può rinunciare alla declaratoria di improcedibilità, chiedendo la prosecuzione del processo.
Infine il comma 9 esclude l’applicabilità della disciplina dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ai procedimenti per i delitti puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.
Avv. Fabio Piccioni
del Foro di Firenze
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