I delitti di corruzione
La corruzione – da corruptio, nome d’azione di cum e rumpere – costituisce un reato a “concorso necessario”, che si sostanzia in un accordo criminoso tra agente pubblico (corrotto) e privato (corruttore, nei confronti del quale l’art. 321 cod. pen. estende la stessa pena) avente a oggetto il mercimonio dell’attività funzionale pubblica.
Soggetto passivo è solo la pubblica amministrazione.
La corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318)
L’art. 318 cod. pen., è stato completamente riscritto dalla L. 190/2012, che ha sostituito la «corruzione per un atto d’ufficio», con la «corruzione per l’esercizio della funzione».
I fenomeni di corruzione sistemica conosciuti dall’esperienza giudiziaria come “messa a libro paga del pubblico funzionario” o “asservimento della funzione pubblica agli interessi privati” o “messa a disposizione del proprio ufficio”, tutti caratterizzati da un accordo corruttivo che impegna permanentemente il pubblico ufficiale a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata – sussunti prima della riforma del 2012 nella fattispecie prevista dall’art. 319 cod. pen. – devono essere ricondotti nella previsione della nuova fattispecie dell’art. 318 cod. pen., sempre che l’accordo o i pagamenti intervenuti non siano ricollegabili al compimento di uno o più atti contrari ai doveri d’ufficio (Cass. Pen., sez. VI, 29/1/2019, n. 4486).
Si tratta di una fattispecie incentrata sull’indebita ricezione o accettazione della promessa di denaro o altra utilità, da parte del P.U., «per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri». In tal modo, l’esercizio della funzione o del potere può prospettarsi sia come scopo dell’antecedente pagamento o promessa, sia come presupposto susseguente, per essere la funzione già stata esercitata.
L’utilizzo della preposizione «per», in altre parole, autorizza la sua lettura sia in chiave finale, che causale.
Anche il semplice “interessamento” del P.U. integra il reato in oggetto.
Infatti, integra il reato di corruzione per l’esercizio della funzione la condotta del pubblico ufficiale che riceva danaro o altra utilità in cambio del generico interessamento alla definizione del procedimento conseguente al mancato pagamento di un’imposta da parte del privato corruttore. A nulla rileva che il pubblico ufficiale agisca presso un settore della pubblica amministrazione diverso da quello di appartenenza, purché egli possa esercitare su di esso un’ingerenza quantomeno di mero fatto (Cass. Pen., sez. VI, 13/2/2019, n. 13406).
Il lemma “utilità” si riferisce a tutto ciò che può costituire un vantaggio, morale o materiale, patrimoniale o non, oggettivamente apprezzabile, consistente in una dazione, ma anche in un facere (ivi compresi i favori sessuali o il vantaggio di natura politica) purché rilevante.
La messa “a libro paga” del P.U., in cambio della sua disponibilità all’asservimento della funzione, integra pienamente il nuovo art. 318 cod. pen. che, nel prendere le distanze dalla precedente nozione di «atto», consente di abbandonare la relativa polemica circa l’estensione del proprio significato.
Si osservi, infine, che il richiamo all’esercizio delle funzioni o dei poteri pubblici, quale oggetto della compravendita, non sembra necessariamente presupporre l’esercizio legittimo degli stessi. La nozione utilizzata, infatti, risulta talmente generica da poter includere nel proprio ambito, sia l’attività conforme ai doveri d’ufficio e alle attività istituzionali, sia quella, illegittima, che si svolga in loro violazione o frustrando lo scopo per cui sono attribuiti.
A conferma di tale estensione, si rileva che, per designare il pagamento, la legge non fa più riferimento al lemma “retribuzione”, in cui il disvalore si riferisce all’offesa non tanto della legalità dell’azione amministrativa, quanto della sua gratuità, tanto che in merito alla stessa si poneva la questione di “proporzionalità” tra la prestazione del privato e il valore dell’atto dovuto.
Se così è, si può arrivare a concludere che la (nuova) fattispecie recata dall’art. 318 cod. pen. integra l’ipotesi generale, la grundnorm, di qualsiasi corruzione; di talché la corruzione di cui all’art. 319 cod. pen. arriva ad assumere sul piano strutturale il carattere di norma speciale, sia in relazione alla concretizzazione e identificazione dell’atto compravenduto, sia in relazione alla qualificazione necessariamente antidoverosa della condotta dell’agente pubblico.
Sul punto, per la giurisprudenza, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale d interessi personali di terzi realizzato attraverso l’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, integra il reato di cui all’art. 318 cod. pen. e non il più grave reato di corruzione propria di cui all’art. 319 cod. pen., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio (Cass. Pen., sez. VI, 6/11/2019 n. 45184).
La corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (artt. 319)
In relazione all’art. 319 cod. pen., le leggi di riforma sull’anticorruzione hanno operato solo un intervento sul trattamento sanzionatorio.
La scelta di non aver, invece, riformato il testo nel merito, sembra rimarcare e accreditare per la fattispecie in esame la necessità del collegamento, quale rapporto sinallagmatico, tra la dazione o promessa illecita e uno specifico e individuato atto d’ufficio omesso, ritardato o compiuto.
Avv. Fabio Piccioni
del Foro di Firenze
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